La lettera è firmata:
Tristano Martinelli, detto Arlechino, il quale scrive di sua propria mano per non si fidar d'altri.
E la polizza annunziata del comico Pier Maria Cecchini è del seguente tenore:
Serenissimo Gran Duca,
Ha piaciuto a Iddio di mostrarmi una strada con la quale posso con mio utile e senza danno di alcuno accrescer a V. A. S.a l'entrata di parecchi milla scudi. Per tanto, a questo effetto, manderò Arlechino(2), comico mio compagno, per trattare con l'A. V. S.a il negocio et anco quello ch'io ricerco per mia mercede, che sarà una decima di questi frutti ogn'anno, assicurandolo che il popolo minuto n'è per trar qualch'utile, la nobiltà non ne sentirà alcun danno, e pur con strada facile e di buona coscienza voglio, senza cavare da l'altrui borse, rimetere nella sua buona soma de dinari.
Vedremo poi come Arlecchino e il Cecchini(3), sì intimi e carissimi amici, diventassero, a un tratto, secondo accade facilmente, tra gli artisti, vani, ambiziosi, di carattere commovibile, nemici implacabili.
L'amicizia sembrava caldissima nel maggio 1599: nel luglio 1600, mentre la Compagnia italiana recavasi a Parigi, ed era trattenuta dal Duca di Savoia per alcuni giorni in Torino, scoppiavano fra i due divi (non ci dispiace con nuove ridicolezze parlar delle antiche) grandi malumori. La scissura durò un pezzo: e ne riparleremo!
Del primo viaggio d'Arlecchino a Parigi ho già accennato: le notizie sono scarse: mentre ci abbondano quelle relative al secondo viaggio.
Le trattative fra la Corte di Francia e quella di Mantova, per aver Arlecchino e i comici italiani, durano sei anni: - da Enrico IV a Luigi XIII!
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