Il governo repubblicano di sua natura incerto, agitato, irrequieto, ha più che altri bisogno di somma vigilanza per conservarsi. Il pericolo avea formata una lega a quel tempo mirabile per concordia, ma paventosa alla compiuta independenza della patria; unione di città e comuni, convegno a parlamento di deputati e uomini armati per rivendicare i loro diritti, e nondimeno lega circoscritta, povera di senno politico, puramente municipale, perchè non seppe sollevarsi fino ad estendere agli altri Stati il benefizio della libertà. La prosperità la fece dipoi meno avvisata sulla sua sorte, e andò infine peggiorando fra le interne disunioni. In mezzo alle discordie nazionali, alcuni capi o signori, non più animati dall'amor patrio che aveva spezzato lo scettro alemanno e ripristinata l'aulica virtù italiana, usurparono il comando nelle terre ad essi affidate; parecchi principi italiani ed anche forestieri gareggiarono eziandio fra loro nel fondare domini sovrani in Italia. Così sursero a potenza principesca in Napoli Carlo d'Angiò; a Milano i della Torre, i Visconti, gli Sforza; a Verona i della Scala; a Ferrara i d'Este; a Mantova i Gonzaga. Attendevano dal canto loro i conti di Savoia ad aggrandirsi verso il Piemonte; la repubblica di Genova a prosperare nel commercio; quella di Venezia a contrastare di preminenza coi signori della Lombardia; Firenze a conservare la sua importanza politica in mezzo alle crescenti usurpazioni, ai contrasti delle parti che la travagliavano dentro, all'ambizione dei Medici, maestri a tutti nell'arte pessima di soggettare i popoli colle blandizie, alle gare a posta suscitate dagl'imperatori, che continuamente aspiravano a ripigliare in Italia il perduto dominio.
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