Eugenio, Méjan e gli altri Francesi che occupavano le cariche del regno d'Italia, erano strumenti docilissimi agli ordini che venivan loro da Parigi. Docile strumento era pure il ministro della finanza Prina, diverso molto dai precedenti per indole, per capacità, per costumi; perocchè se nelle opere del suo ministerio si mostrava attivissimo sempre in adoperarsi a vantaggio di Francia e consentire ciecamente ai voleri di Napoleone, era del resto non curante della propria fortuna, quant'altri premuroso ed avido di accrescerla. Di origine piemontese, e mosso solamente dall'ambizione di andare a versi ad un illustre personaggio, non durò Prina molta fatica ad ingraziarsi presso Napoleone, che voleva la direzione della finanza affidata ad un uomo acuto nei trovati di cavar denaro dai popoli per impinguare l'erario, obbediente agli ordini del sire, e severo nell'esigere le imposte: piacque perciò il ministro all'imperatore che il fe' grande, e le grandezze e il favore e il sottilissimo ingegno il fecero poscia odioso ed infelice.
Favellando Napoleone in Milano al corpo legislativo quando venne a pigliarvi la Corona di ferro, disse, "avere prese le opportune misure per dirigere da sè gli affari più importanti dello Stato". Erano fra questi la finanza e il modo di levare e ordinare le milizie; per le quali occorrenze mandava l'imperatore i decreti distesi da Parigi affinchè si accettassero, e i progetti di legge perchè in Milano si sottoponessero al corpo legislativo per la sola forma della sanzione.
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