Mancavano però gl'incentivi al nobile intendimento dell'arte; mancavano, perchè trasportati in Parigi ed offuscati ora da cielo nebbioso, i marmi effigiati dai greci scalpelli, e i dipinti immortali dei Raffàelli, dei Correggi, dei Tiziani, e di altri nobilissimi ingegni d'Italia, opere spiranti celeste bellezza, segni e ricordanze della magnificenza scorsa. Quello che dalle più lontane regioni d'Europa, quali ornamenti tanto decantati dell'antica e moderna patria nostra, molti venivano dottamente ricercando o curiosamente visitando; quei capolavori de' migliori nostri maestri che ne' musei, nelle chiese, nelle gallerie si pubbliche che private, nei signorili giardini o nelle ville dianzi tanto gelosamente si custodivano; i quadri e le statue dei più riputali artefici greci, italiani, fiamminghi e spagnuoli, mostravano ora in terra straniera la soggezione dei vinti e la barbarie dei vincitori. Ai Veneziani massimamente doleva il vedere que' loro maravigliosi cavalli di bronzo mandati a Parigi; doleva parimente il vedere che la residenza degli antichi principi loro fosse ora ridotta a sede di tribunali ed uffizii diversi. Utile era certamente alla pratica delle faccende pubbliche che si trovassero tali uffizii riuniti in un solo ed ampio locale; ma ciò avveniva con danno evidente di quei pregi bellissimi dell'arte architettonica e pittorica, esposti alle intemperie ed ai leccamenti continui di una moltitudine accalcata e senza risguardo a' fregi da lei si poco apprezzati, solo curante di sbrigare i suoi affari, di liberarsi da quel frastuono di passi e voci miste e confuse.
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