Poco del rimanente, avuto riguardo alla qualità dei tempi che avevano nello spazio di pochi anni sperimentata una sì grande variazione, doveva importare agl'Italiani che un tal governo fosse piuttosto di dinastia austriaca che francese; poco altresì, che un tal signore e monarca si chiamasse piuttosto Francesco che Napoleone od Eugenio; quello che più doveva star loro a cuore era la conservazione del conseguito principio di nazionalità con una certa independenza della patria loro; quello a cui anelavano con ogni amore era il vederla retta da una mano provvida e giusta; e purchè questo fatto importantissimo si ottenesse, ogni altro sagrifizio stimavano essi leggiero e di niun momento. Conosciute le quali disposizioni, subito diedero opera alle trattazioni nascoste o scoperte, alle più accorte seduzioni, alle pratiche vicine e lontane, e tutti insieme ad una volta, i Lombardi, il vicerè e i partigiani dell'Austria; i primi ed il secondo per conservare l'edifizio innalzato dalla mano potente di Napoleone; gli ultimi non più per puntellarlo, ma per abbatterlo, usando all'uopo, secondo le maggiori convenienze, la forza dell'armi, e le arti tutte che i potenti, quando giovino ai cupi loro disegni, chiamano di politica e di Stato.
All'avvicinarsi delle truppe austriache in Lombardia, confortati o impauriti da diverso sentire, come sempre avviene, si lasciarono andare a sperare o a temere i fautori delle varie dinastie. Chi parteggiava per l'Austria, allegava il governo dolce e benefico di quella casa, rammentando i giorni beati di Maria Teresa e di Giuseppe II, la consuetudine antica a quella monarchia, le contingenze attuali favorevoli ad essa, perchè avvalorata dalla presenza di un esercito poderoso in Italia, alleata coi potentati d'Europa concitati da fierissimi sdegni, ed animosi per innumerevoli squadre.
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