Agl'Italiani diceva, loro essere un popolo buono, generoso e fedele; da dieci anni occuparsi della felicità loro, e consacrerebbe il resto de' suoi giorni a compirla. E mentre s'adoperava in Milano perchè il senato gli deliberasse la corona d'Italia, trattava furtivamente cogli Austriaci per disciogliere l'esercito, e consegnar loro le restanti piazze forti del regno, non escluse Peschiera e Mantova. Per più notti di seguito, ad ora molto avanzata e ad un segno convenuto, si videro aprirsi tacitamente le porte della cittadella; e vestito con abito borghese, acciocchè non insospettissero le guardie e gli uffiziali del presidio, entrare un generale bavaro, che andava a segreto colloquio col vicerè. Con tutto ciò alcuni dei capi delle schiere italiane e francesi, vedendo quel continuo ravvolgersi che facevano il vicerè e la sua corte nel mistero e nell'ombra, incominciarono a pensare che veramente ci covasse sotto qualche nascosta fraude, e fra loro il generale Grenier già spargeva ne' suoi discorsi, che Eugenio avrebbe presto imitato Murat, per avidità d'imperio infedele a Napoleone e alla Francia. Furonvi parimente brogli nell'esercito, e con qualche successo.
Si raccolsero prima di tutto sottoscrizioni fra gli uffiziali, unanimi, dicevano le dimande ai confederati, nel volere a re del regno d'Italia Eugenio Beauharnais; di poi si spedirono a Parigi i generali Fontanelli e Bertoletti, portatori dei voti dell'esercito. Premeva sopra tutto al vicerè di allontanare dal regno Bertoletti, comandante di Peschiera, perch'egli già disegnava dare la piazza agli Austriaci, ed il generale non era uomo da menargli buona tanta bassezza.
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