Infatti quando la deputazione milanese fu ammessa in Parigi alla presenza dell'imperatore Francesco, egli fra sorpreso e sdegnato, udite quelle dimande convenevoli solo a chi assuma le parti di vincitore, rispose: A quell'ora le vittoriose sue armi avere conquistato il Milanese, e non potere patteggiare con loro intorno a cosa ch'era già sua; nondimeno lui pure ricordarsi di avere spirate le prime aure di vita in Italia, ed amare perciò i suoi sudditi italiani quasi altrettanti fratelli; ritornassero fiduciosamente a Milano; vi disponessero gli animi alla quiete; udirebbero quivi la sua imperiale volontà. Quando così parlava l'imperatore, sapeva già le parti principali dell'accordo con Bellegarde, e la cessione di Mantova fatta da Eugenio.
La cessione della fortezza di Mantova agl'imperiali dee risguardarsi qual fatto degno di grandissima ripruovazione. Trovavasi la piazza bene provveduta di munizioni da guerra e da bocca per più mesi; agguerriti e fedeli, comechè poco numerosi, i soldati italiani; consenzienti molti capi dei francesi, fra i quali il generale Grenier che prometteva di aiutare colla sua schiera lo sforzo dell'esercito nostro, vergognoso di quei patti e del tradimento del vicerè; tutti speravano massimamente in Murat e nelle popolazioni italiane non amichevoli all'Austria; speravano infine di ottenere condizioni più convenienti al paese col far mostra di armi risolute ad opporsi ad una convenzione, la quale non altro seco portava che sciagure, danni e vergogne.
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