La infelice uscita dei tentativi fatti in Parigi dalla deputazione milanese, le parole non dubbie dette alla medesima dall'imperatore Francesco, le altre nč anco dubbie, sebbene pił oscure, del generale Bentinck, e sovratutto le disposizioni prese da Bellegarde in Milano, persuasero alle popolazioni della Lombardia, che vana cosa era l'affaticarsi nel desiderio di conservare il regno d'Italia quale si trovava ordinato da Napoleone, e di affrancare le province lombarde e veneziane dalla dependenza austriaca. Restava tuttora qualche incertezza intorno alla sorte degli altri Stati della penisola. Ma ecco udirsi improvvisamente, prima per vaghe ed incerte voci, poscia per certissime novelle sparse a disegno per far cessare le illusioni ne' popoli variamente concitati, che i principi collegati, oramai disbrigatisi delle faccende che pił sollecitavano perchč tosto si astenessero le parti dal guerreggiare tanto di qua dal Reno, quanto di lą dall'Alpi, incominciavano a trattare deliberatamente in Parigi delle ordinazioni spettanti l'Italia. Portavano adunque le novelle, che alle sorti della Lombardia e della Venezia s'era definitivamente provveduto, e presto si sarebbero informate le fortunate popolazioni della imperiale volontą emessa a loro riguardo; che al nome di repubblica, quale avea essa durato per sģ lunghi anni negli antichi Stati italiani di Genova, Lucca, Venezia, retti da forme di governo libero e independente, penavano i monarchi ad avvezzare le orecchie; che i principi di Savoia, reali di Piemonte, tornavano dall'esigua ed ospitale Sardegna avvantaggiati di potenza e di territorii liguri per nuova impudenza politica di sovrani parlanti amore di popoli e di giustizia, per nuova violazione del diritto delle genti; tornare il duca Francesco IV d'Este a Modena, il granduca Ferdinando III in Toscana, papa Pio VII in Roma, e solo rimanere tuttora pendenti, or non pienamente sicure, le sorti di Giovacchino Murat, signore di Napoli, principe nuovo e plebeo in mezze a tante dinastie di antichissima data e di vantata legittimitą. Udivasi ancora, che papa Pio tornava a rimettere in seggio gli errori e gli abusi divolgatisi in passato per le enormitą delle corporazioni religiose, e un'altra volta facendo sventolare in alto le insegne della feudale barbarie, ammorbava di frati oziosi l'Italia e il mondo; che Vittorio Emmanuele di Savoia gią andava alla vōlta di una nobiltą scaduta di merito e di onori, maligna, inesperta, bisognosa, arrogante, e che questa nobiltą in Piemonte era usa ad agitarsi e tradire nell'ombra, a succiarsi a titolo di pecuniarie sovvenzioni le sostanze dei popoli, ad occupare le cariche di corte, i seggi primari dello Stato, gli impieghi civili, i gradi elevati dell'esercito, a venerare il trono per non discendere ad amare la patria, e che gią tutto accennava siccom'ella tornerebbe ora adirata a vendicare le offese passate, a sconvolgere gli ordini benefici, ad immiserire gl'ingegni potenti nelle regie adulazioni, a posporre la giustizia alle prerogative, la modestia all'orgoglio, il merito ai vanti superbi ed alle pergamene.
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