A quel modo che abbiamo fin qui divisato vennero regolate dal congresso di Vienna le divisioni territoriali, le ragioni dei principi, e le faccende dei popoli in Italia. L'Austria, la quale non aveva pensato che al proprio ingrandimento nella penisola, vi occupò tutto quel tratto di territorio che si comprende fra l'Isonzo, il Ticino ed il Po, usurpò una parte dello Stato romano, si appropriò tutto lo Stato veneto, che solo poteva in parte serbare l'immagine della independenza italiana; pose sul trono di Modena, di Toscana e di Parma principi a lei congiunti di parentado, e dalle due rive del Ticino e del Po minacciava ad ogni sospetto di guerra d'invadere le province del Piemonte e del papa. Fu tale aggiustamento un grande atto di giustizia, come parevano disposti a farlo credere al mondo i re confederati? Lo sarebbe stato, se guidati i monarchi congregati da sentimenti di amore e di umanità verso la generazione che tanto avevano dianzi afflitta con gli eserciti numerosissimi, si fossero solamente proposti di creare, dar vita e felicitare le nazioni per mezzo di savie instituzioni, di principi benefici, di leggi giuste e imparziali. Trascurarono in vece i benefizii, che tanto fanno gli uomini disposti alla obbedienza ed alla sommissione; credettero di avere abbastanza provveduto alla felicità delle province italiane col liberarle dalla prepotenza militare di Napoleone, e darle in preda alle polizie di Vittorio Emmanuele, di Pio, di Francesco, di Ferdinando; verso alcune dinastie furono ingiusti per soverchia tenerezza, verso altre per soverchia avversione, verso i popoli per eccessiva superbia e ingratitudine.
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