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      Lasciavasi finalmente pieno arbitrio all'imperatore di provvedere, secondo suo senno e proposito, ai compensi da darsi in denaro ai principi detrusi dal trono in Italia, all'autorità e soggiorno futuro del pontefice di Roma.
      Discusse nuovamente alcune parti più essenziali dello statuto, e da tutti appruovate siccome provvedimento primo e provvisorio, uno degli adunati, Melchiorre Delfico, Napolitano degli Abbruzzi, dettò quasi per intiero un indirizzo a Napoleone per ragguagliarlo sulle attuali condizioni della penisola, favellandogli con eloquente e franca dicitura della speranza accarezzata dagl'Italiani di averlo a capo dell'impresa ideata, e scriveva al tempo medesimo alcune vedute sul modo che pareva, più acconcio a farla riuscire felicemente. I banchieri genovesi, i quali si mostravano penetrati della massima, che a voler fondare la libertà e independenza della patria occorrono denari e denari, offerivano al congresso ed a Napoleone, se accettava le proposte cose, una prima somma di dodici milioni di franchi da impiegarsi nelle più urgenti bisogne: tenevano in serbo altre maggiori somme, se la fortuna, come non ne dubitavano, si appalesasse propizia alle mosse dell'imperatore.
      La notte dei 19 maggio dell'anno 1814 partivano da Torino gli scritti, che chiudevano in sè tante sorti future d'Italia, il patto da accettarsi, le sollecitazioni dei capi del congresso, e l'indirizzo a Napoleone. Portava il dispaccio: "Sire! Un picciol numero d'Italiani, i primi che salutarono in voi il liberatore della patria loro, i primi eziandio e i più costanti ammiratori della vostra gloria, non mai adulatori del vostro potere, nè disertori della vostra caduta, ha risoluto di tentare un ultimo sforzo per far risorgere dalla lunga ignominia l'abbattuta fronte della penisola italiana.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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