Farò di Roma un porto di mare. Fra vent'anni, avrà l'Italia una popolazione di 30 milioni di abitatori, e sarà allora la più potente nazione d'Europa. Non più guerre di conquista. Nondimeno avrò un esercito prode e numeroso, su' cui vessilli farò scrivere il motto: Guai a chi la tocca, e niuno l'oserà. Dopo di essere stato Scipione e Cesare in Francia, sarò Camillo in Roma; cesserà lo straniero di calpestare col suo piè il Campidoglio, nè più vi ritornerà. Sotto il mio regno, la maestà antica del popolo-re s'unirà alla civiltà del mio primo impero, e Roma uguaglierà Parigi, serbando tuttavia intatta la grandezza delle sue memorie passate. Sono stato in Francia il colosso della guerra; sarò in Italia il colosso della pace".
Così parlava Napoleone nel mese di ottobre dell'anno 1814. Ma presto si seppero in Italia le corrispondenze più frequenti del solito di alcuni Francesi col prigioniero dell'Elba; presto si seppero quelle apertesi fra lui e Murat, che gli mandava spessi avvisi da Napoli; presto infine s'udì, che l'imperatore fuggitivo da Porto Ferraio, invece di approdare a Genova o a Livorno, come lo consigliavano i cospiratori italiani, avea rivolte le vele alla Provenza, ed ognuno allora credette, che sincero dapprima nell'intendimento di creare un impero romano ed italico per assicurarne il possesso nella sua casa, solo Napoleone mutasse proposito, pensieri e cammino, quando ebbe avute più larghe speranze da Francia.
Il ritorno dei Borboni in quel reame non aveva a gran pezza contentato tutti gli umori.
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