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      Nuocevagli ancora nella universale credenza, che la causa da lui ora con grandissimo amore abbracciata da tutti si riputava non a probabile benefizio, ma a certo, inevitabile danno della nazione.
      Prevedendosi adunque molto vicina la guerra, i Napolitani applicavano l'animo a farla sì con le armi aperte, e sì con le instigazioni segrete. Spacciati a tal fine uomini a posta nelle diverse contrade d'Italia, il re fece loro commissione di abboccarsi nuovamente coi capi della parte più avversa ai Tedeschi, e con loro favellando delle occorrenze della giornata, gli esortassero a dar mano alla impresa, non tanto col creare in ogni luogo nemici all'Austria, quanto col dar voce che tutto quel moto fosse per partorire la independenza italiana. Magnificava le promesse del re Pellegrino Rossi. Non ignoravano in generale gl'Italiani quanto questo suono di libertà riuscisse poco gradito a Giovacchino, del che aveva egli dato prima non dubbie prove col rifiutare la medesima inchiesta a personaggi di grande dependenza nell'esercito e in Napoli; non ignoravano nemmeno quanto la persona di lui fosse poco accetta all'Inghilterra, come lo avevano udito da Bentinck in Genova; ed in fine sapevano molto bene che, quantunque sforzato dalla necessità dei tempi facesse ora alcune dimostrazioni in contrario, era pur sempre il congiunto di Napoleone, e come lui, amatore sincero del comandare tirato. Concludevano da tutto ciò, che non conveniva fidarsi così alla prima di Murat, il quale, tolte di mezzo le presenti strettezze, avrebbe dato sè stesso con la patria loro in balìa non che dei Tedeschi, ma degl'Inglesi e dei Russi, solo che questi lo avessero voluto assicurare del napolitano suo seggio.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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