Frattanto i Tedeschi insistevano da ogni banda vittoriosi; i Napolitani, scoraggiati da tante fatiche e da tante morti, rallentavano le difese; minacciava questi una imminente ruina, confortava quelli una certissima speranza. Quindi Murat indietreggiando con le sue genti da Macerata, dove allora attendeva con grande sollecitudine a raccorre i dissipati, disegnava di andarsi a posare in Fermo. Gli bisognava passare il ponte sul Chienti. Ma il generale Stahremberg che aveva presentito il caso, giovandosi con molta destrezza della debole vigilanza del maresciallo di campo Carafa che custodiva le alture dell'Olmo poco pių sopra il Chienti, e sparpagliate le sue squadre pių leggiere nelle vicinanze del fiume, s'impossessō del ponte, dove stava aspettando i fuggitivi parato a tempestarli: urtato furiosamente da tergo e da fronte, versava Murat in grande pericolo.
Qui era quel Fontaine venuto negli occhi di tutti dopo i rovesci del Panaro, e che tuttavia molto addentro nella grazia del re reggeva la cavalleria napolitana. Gli comandava il re, urtasse, ferisse vigorosamente il nemico che abbarrava la strada. Il Francese dapprima esitava, titubava; poi si voltava in fuga disordinata, mettendo anche lo scompiglio ne' suoi cavalli. I primi che retrocedevano si precipitarono a corsa sui secondi che avanzavano, e il terrore e il disordine intromettendosi nelle succedenti file, giā non era pių compagnia di fanti o cavalieri che fosse stabile ed intiera. Gli uffiziali fecero subito quanto per loro si poteva per opporsi a quel trambusto; Murat stesso, che in tutti questi fatti lasciō dubbio se pių si dovesse in lui ammirare la perizia o il valore, non turbata la mente nč diminuito l'animo per essere rimasto inferiore nel precedente conflitto, era per tutto e provvedeva a tutto, nč trasandava alcun rimedio per fermare tanta rovina.
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