Il grosso stesso dei Napolitani, avendo la notte di quel giorno abbandonato il bene difeso varco del ponte e voltatisi a stanca, raggiunsero il dimani le schiere compagne a Porto di Fermo. Vi arrivava non sanguinosa ed intera la schiera di Carafa, e quella ancora che obbediva al freno di Carrascosa. Qui si udivano le ingratissime novelle dell'esercito e del regno; qui si vedevano manifesti indizii di ribellione. Sconfortati vedevansi i cittadini; i soldati, che in quel continuo variare della fortuna erano sempre rimasti fedeli alle bandiere, ora non sapevano che farsi; gli uffiziali stessi nicchiavano. Nel campo e fuori di esso chi apertamente biasimava il re di avere con tanta precipitazione cominciata la guerra; chi con le parole e ancor più con la immaginazione aggrandiva quell'abisso di mali. Pareva d'altronde che aiuti di Francia oramai più non si potessero sperare, perchè quello ch'era facile dianzi per la prossimità, appariva ora difficilissimo per la lontananza, e i Tedeschi intercettavano tutte le vie; scrivere nuovi soldati nell'interno meno ancora, perchè già d'ogni intorno vi sorgeva la solita peste delle parti; a ciascuno poi infinitamente noiava il vedere Montigny e Fontaine, autori quasi principali delle calamità loro, sottratti ai meritati castighi da chi avrebbe anzi dovuto severissimamente riprenderli. In questa giunse Murat, che confortò tutti; e come non aveva paura egli, così non voleva che altri ne avesse. Il dì 6 i muratiani varcarono il Tronto, ultimo confine della napolitana terra per chi va nelle Marche.
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