Fermati questi patti, e già imbarcatasi la regina, incominciarono a levar la testa gli aderenti a Ferdinando ed all'Austria. I condannati alle prigioni e alle galere, atterrate violentemente le porte del carcere loro, già minacciavano di prorompere furibondi, e mandare a sangue ed a sacco la paventosa città. Nel trambusto alcuni Francesi perirono per mano di uomini infuriati e fors'anco assoldati; altri della plebe corsero a dar di piglio alle mobiglie più preziose della reggia che fra loro spartivano, e da ogni banda penetrati nelle reali scuderie, via se ne portarono cavalli bellissimi di Murat. Dicevano per iscusare l'abbominevole fatto, ch'era roba di ladri; ed intanto i ladri l'arraffavano per sè. La guardia urbana alla quale era particolarmente fidata la custodia di quella metropoli del regno, non si credette in quel punto sufficiente al riparo, e molti fra i chiamati, non che si affaticassero a frenare il disordine popolare, se ne mostravano anzi principali fomentatori. Il governo temporaneo pregò allora il commodoro di mettere a terra una mano di soldati inglesi per fare spalla alle milizie cittadine, e mandò facendo istanza a Neipperg, affinchè accelerasse di un giorno la sua entrata in Napoli. L'uno e l'altro lo accomodavano della onesta dimanda. Entrati di poi i Tedeschi in città il dì 23 di maggio con pompa militare, seguiti dal principe reale Leopoldo Borbone custode e dispensiero dei perdoni del padre, ogni cosa vi fu tosto mutata e bandita in nome di Ferdinando.
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