Non dissimulavano a sè medesimi i confederati, che il re Ferdinando non avrebbe mancato di risentirsi per la determinazione presa da loro intorno ad Eugenio; ma confidavano da un altro lato, che sfogati i primi impeti di quel risentimento, avrebbe poi di buona voglia consentito a quello cui non si poteva opporre con le forze proprie, sendo che di gran lunga insuperabile a petto alla potenza dell'esigua Napoli apparisse la potenza di quasi tutti i monarchi d'Europa. L'imperatore stesso, il quale a quel tempo poteva ciò che voleva sul cuore di Ferdinando, lo veniva continuamente esortando da Vienna a non inimicarsi per tal fatto i potentati collegati, nè fare opposizione che potesse esacerbare il congresso, e lietamente anzi accettasse le mandate proposte, prima che se ne offendessero i sovrani più benevoli ad Eugenio. Resistette nondimeno con grande risolutezza Ferdinando alla superba intimazione dei confederati, massime tirati a quella predilezione da Alessandro di Russia; e solo due anni dopo, ad esortazione dell'Inghilterra, la quale era entrata di mezzo per fare che le insorte difficoltà si dissipassero, acconsentì di pagare al principe vicerè, a titolo di pecuniario compenso, la somma di cinque milioni di franchi. Del resto, Ferdinando confermò temporariamente le leggi esistenti allora in Napoli, ed ai Napolitani confermò gl'impieghi che occupavano nei varii dicasteri; ma sostituì subito nuovi ministri agli antichi, ed abolì il consiglio di Stato. Dichiarate nulle e come non avvenute le assegnazioni di feudi e pensioni sopra i beni dello Stato fatte dai cessati governi di Giuseppe Napoleone e di Giovacchino, il nuovo signore restituì in pari tempo ai Napolitani emigrati in Sicilia quelli ch'erano stati ad essi confiscati o venduti, dando però un adequato compenso ai compratori; creò apposite commissioni per compilare nuovi codici di leggi civili, criminali e di commercio; unì in un solo e medesimo esercito i soldati di Napoli e di Sicilia, e ne conferì il supremo comando al generale austriaco Nugent.
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