Gli uomini superstiti del novantanove, i quali sapevano molto bene quello di che fosse capace Ferdinando, massime quando era re assoluto, non che credessero a quelle divote apparenze di pietà, paventavano anzi, che quando fosse venuto il tempo opportuno per lui, non mancherebbe certamente di saziare le voglie malvage di vendetta che ora con tanto studio e perfetta simulazione nascondeva, trovandosi la mente sua distratta in occupazioni di maggior momento, e non ancora del tutto sciolta dal freno di benigni risguardi verso l'accettata convenzione di Casalanza. Importava frattanto in quelle prime caldezze di reale prosperità, ed a volere che i preti si adoperassero per confermare i popoli nella fresca soggezione, che il re facesse una pubblica e pomposa dimostrazione in loro favore, e la fece. Si ricordò Ferdinando di avere, quando ancora si trovava in Sicilia, promesso solennemente per voto, che se piacesse un giorno al volere divino di riporlo nel maggiore suo seggio di Napoli, farebbe innalzare di fronte alla reggia un magnifico tempio ad onore di san Francesco di Paola, e nel regno di qua, come già prima in quello di là dal Faro, restituirebbe la società di Gesù. L'una e l'altra delle reali intenzioni si mandavano ora ad effetto. Tali furono i primi avviamenti presi dalla borbonica ristorazione in Napoli.
Il ritorno di Napoleone dall'isola d'Elba in Francia, ravvivando da un canto le speranze prese da Murat in Napoli, temperando dall'altro i desiderii inspirati al Borbone in Sicilia, aveva del resto posto in grandissima apprensione i potentati d'Europa, ma più particolarmente fra i principi d'Italia il re di Sardegna, perchè confinante con la frontiera francese, dalla quale non giungeva in Piemonte nuova alcuna che non fosse di guerra.
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