Nè i tempi che allora correvano comportavano le dubbiezze; avvegnachè tanto verso la Savoia, quanto verso Nizza continuamente dall'interno della Francia si facevano partire soldati, o sia che intendessero solamente ad intimorire con un romoreggiare straordinario ed assiduo, o che quivi volessero veramente starsi parati a passare il confine, quando fosse venuto il giorno determinato da più alti disegni. Non s'ignorava, e sapevasi anzi di certo alla corte di Torino, che dopochè l'Austria aveva rifiutati a Napoleone gli accordi offerti in Vienna, spingendo al tempo stesso con grandissimo ardore la guerra contro Murat, i Francesi non si sarebbero indugiati di fare un potente diversivo in Italia, sì per ottenere che l'Austria gelosa per le sue possessioni lombarde non accorresse verso il Reno ad ingrossarvi gli eserciti inglesi e prussiani, sì ancora perchè le cose procedendo felicemente per Napoleone nei Paesi Bassi, sarebbesi in lui risvegliata l'aulica cupidigia d'invadere le province italiane, parte tanto essenziale della cessata sua dominazione, e piantare dappertutto le tricolorite bandiere.
Questi pensieri accuoravano dì e notte i principi italiani, ai quali con vivi colori si dipingevano ora alla mente le passate tribolazioni e le sofferte calamità dell'esigilo. Facevano pertanto continue premurose istanze appresso al re di Sardegna, affinchè munisse di grossi alloggiamenti le sboccature dell'Alpi e i passi del Varo, rappresentandogli eziandio con caldissime esortazioni, che siccome egli era il più poderoso ed il meglio disposto dalla natura alla custodia d'Italia, così ancora doveva esserne il più previdente per consiglio, il più attivo per l'opera, ed il meglio apparecchiato per l'armi.
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