Prevedevano nondimeno le difficoltà che si sarebbero in questo momento frapposte, non solo in tutta l'isola, ma fuori di lei a condurre a perfezione il loro disegno; perciò si uniformavano a riconoscere il dominio della Francia, sperando ad ogni modo, che la perdita della nazionalità si troverebbe a sufficienza compensata dal vedersi uniti ad un popolo grande, illustre ed ora governato da forme rappresentative. I buonapartisti e i liberali, apertamente rallegrandosi della presenza di Marat in quelle parti, perch'egli era congiunto di parentado con la famiglia dei Buonaparte, o fors'anche recandosi a puntiglio d'onore il guarentirgli coi fatti la invocata ospitalità, lo proteggevano contro i regii, che per uffizio e per inclinazione attentissimamente spiavano tutti i suoi passi. Murat, prendendo tosto conforto ed ardire da tali dimostrazioni fatte in suo favore, e fidando negli andamenti dei parteggianti più che non consentisse la prudenza, ora pasceva la mente con le strane illusioni d'imperio, ora sollevava i pensieri a vastissime combinazioni di guerra.
L'esempio di Napoleone sbarcato con pochi soldati sopra le terre di Francia, ed entrato trionfatore con un esercito poderoso dentro la sua stessa Parigi, turbavagli i sonni. E ridottisi in mente i capi tutti di quel memorabile viaggio dell'imperatore, i rovesci non presentiti, i pericoli facilmente superati, Murat si risolveva a tentare una invasione nel regno di Napoli, dove confidava trovare moltissimo seguito per la opinione non discordante degli aderenti, e per la niuna opposizione che avrebbero fatta i malcontenti.
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