Questo primo mancamento di fede fece avvertito il principe che quello non era più il tempo di starsi; e d'altronde, essendosi inutilmente pruovato di scoprire i restanti legni che se n'andavano errando a tutta discrezione dei venti, cedette alle rimostranze de' suoi, deliberato finalmente di recarsi a Trieste. Ma il Barbara, forse già traditore in cuor suo, sclamava, non osare con sì fragili barche affrontare le burrasche che nella stagione di autunno sconvolgono il golfo Adriatico, e le navi non portar seco i viveri sufficienti al lungo e periglioso viaggio. Vinto in parte da tali ragionamenti invero persuasivi, in parte impaziente d'indugi, non pronto a timida fuga, audace alle rischievoli pruove, Murat diede l'ordine che si approdasse al Pizzo, città della Calabria di mezzo. Egli stesso saltò in terra con ventotto de' suoi, fra i quali il generale Franceschetti.
Non aveva in tutto questo tempo il governo di Napoli tralasciata diligenza alcuna per conoscere esattamente quali fossero i pensieri di Giovacchino; e quali mezzi avesse in poter suo per mandarli ad esecuzione. E sapendo primamente che s'era ricoverato in Corsica, vi spediva un Carabelli, nato in quell'isola, persona molto fidata ed abile a maneggi di polizia, perchè facesse opera di sviarlo dall'andata, se consigli venisse agevolmente fatto, o se persistesse ostinato nella volontà di muovere alla conquista del regno, rendesse informati i ministri del Borbone di quanto macchinasse e pensasse. Erano dunque già prima conosciuti del principe i procacci, i consigli, il partire; ma incerto tuttavia il luogo ove disegnasse far sentire le prime percosse di guerra.
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