Ma quando vide che, non tanto che lo aiutassero ed il suo nome gridassero, se ne stavano immobili ad osservare, e non pochi anzi indisponili quasi si voltavano altrove, imperocchè, dopo i rigori usati da Manhes nelle Calabrie, il nome di Murat vi era universalmente odiato, pensò che quello non era per lui nè luogo nè tempo da soprastare. Oltre a ciò le autorità civili del paese e la guardia urbana fra loro si mettevano d'accordo per opporsi all'invasione.
Posciachè le autorità, le milizie, i cittadini ed il contado stesso si scuoprivano nemicissimi a Murat, e chiaro oramai si vedeva che nel Pizzo non potrebbe suscitare innovazione alcuna contra i Borboni, dovette alla fine risolversi a far sperimento se la fortuna gli fosse più propizia altrove. La vittoria consisteva principalmente nella celerità. Pertanto, non mettendo tempo in mezzo, e fatti a sè venire i suoi, ordinò loro di seguirlo; poichè, persistendo tuttavia nel credere alle simpatie delle popolazioni ed all'ardore dei soldati, suo intendimento era di fare un motivo sopra Monteleone, città capitale della provincia, per tentare d'insignorirsene con una battaglia di mano. Ma non erasi ancora dilungato di un breve tratto dal Pizzo, che un Trentacapilli, antico capitano di gendarmi, raunati alcuni devoti al nome del Borbone, e accorrendo da ogni banda con un agente del duca dell'Infantado uomini armati a dargli aiuto, raggiunse il partente drappello traendogli contro alcuni colpi di archibugio. Giovacchino, sollecito in quel trambusto, più che della difesa propria, d'impedire che i suoi venissero alle mani con gli assalitori, si presenta loro davanti, rispondendo alle ostili dimostrazioni coi pacifici gesti e coi gentili saluti.
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