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      Si apprestavano le forme del giudizio, poche e sollecite, quali le richiedevano la natura del fatto, la condizione insolita dei tempi, gli ordini assoluti mandati da Napoli: un capitano Starace eletto all'onorevole, ma inutile uffizio, di difensore dell'accusato. Ma Murat vietavagli risolutamente le difese. Disse, non esser debito di un re il pronunziare sentenza contra un altro re, che delle sue azioni ha solamente giudice Iddio o i popoli; molto meno poi ciò doversi tollerare in uomini privati e soggetti, e tali essere, appunto i convocati a dare decisione di lui; molte cose aver fatte in passato degne di gloriosa ed eterna ricordanza, e per esse essere salito al grado di generale e maresciallo di Francia; ad un consiglio di generali pertanto, se in lui si sdegna di riconoscere il principe, appartenersi il darne giudizio; morrebbe (poichè di morte certa era il comando), ma non mai scenderebbe a grado minore. Apparve un momento attristato, pensando a quel sì strano e subito rivolgimento di fortuna; ma tosto, vergognoso quasi della pochezza dell'animo, ricompose il volto alla usata serenità. Dimandò infine di essere lasciato solo, e fossegli acconsentito, ultimo, pietoso desiderio, di scrivere alla consorte Carolina Buonaparte. Prese la penna, e così scrisse in francese: "Mia cara Carolina, L'ultima mia ora è giunta; fra pochi istanti io non sarò più; tu avrai cessato di aver marito, e i nostri figliuoli non avranno più padre. Tu non obbliarmi giammai e non maladire alla mia sorte, poichè io mi muoio innocente, e la mia vita non è macchiata di alcuna ingiustizia.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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