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      Addio, mio Achille; addio, mia Letizia; addio, mio Luciano; mia Luigia, addio. Sappiate in ogni tempo mostrarvi al mondo degni di me. Io vi lascio in mezzo a numerosi nemici, senza beni e senza regno; ma voi siate mai sempre uniti, e sempre maggiori della presente disgrazia; pensate in avvenire, non più a quello che foste, ma a quello che rimanete, e Iddio, ne son certo, benedirà dal cielo l'attuale vostro stato. Non maladite alla mia memoria, e richiamate spesso alla vostra mente, che il maggior dolore ch'io sento negli ultimi momenti della mia vita, è appunto il morire lungi da' miei figli. Voi intanto ricevete la paterna mia benedizione, le mie lagrime ed i miei affettuosi abbracciamenti. Siavi ognor presente alla memoria il vostro padre infelice".
      In questa il consiglio militare adunato nelle inferiori stanze del pizzano castello a deliberare sulla sorte del principe, sentenziava: Giovacchino Murat ridotto con la forza dell'armi a rinunziare per sè e suoi eredi alla corona di Napoli, la quale con la forza medesima aveva egli usurpata, aver fatto ritorno alla primitiva sua condizione di privato; non essere però la smodata ambizione di lui rimasa contenta a quello stato di cose che rimuoveva ogni sua cupidigia d'imperio, e quando già il legittimo signore di Napoli era novellamente salito sul trono de' suoi gloriosi antenati, avere lo stesso Murat con l'armi in mano, con sediziosi scritti, ed alla testa di uomini da lui armati ed assoldati, invaso le napolitane terre con manifesto disegno di far levare i popoli a tumulto; bugiarde essere le addotte scuse ch'ei volesse procacciarsi miglior barca e rinfrescarla di viveri per girsene a Trieste, perciocchè tali cose non s'erano veramente dimandate, e nemmeno dimandarsi con l'armi in pugno e coll'appresentarsi a milizie armeggianti in piazza; oltre a ciò le stampate proclamazioni ai Napolitani ed altri fogli parecchi trovati indosso allo stesso Murat, non lasciar dubbio alcuno sulle vere intenzioni di lui, e risultare anzi da tutte le ragioni ponderate e discusse, che non mai aveva egli dismesso il pensiero di sbalzare dal trono di Napoli il legittimo re Ferdinando Borbone con la violenza, le sedizioni e la guerra civile; per tali fatti lui essersi reso meritevole dell'esemplare castigo de' rei, ed il tribunale straordinariamente riunito per riferire intorno a questa importante materia, condannarlo a morte.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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