Degli ozii di corte Murat poco o nulla si dilettava. Insofferente dei riposi della pace, anelava il tumulto dei campi; onde volò al fianco del cognato allorchè questi partì per la funesta guerra di Russia, e ne riportò grido, che l'Europa intiera gli consente, di egregio soldato, di mediocre capitano. L'anno 1815, fatto accorto dai rovesci di Napoleone in Germania, non per affezione, ma per interesse si accostò ai principi collegati, ai quali piaceva quell'ardore bollente congiunto alla fama di guerriero invitto, e divenne così con poco savio giudizio infedele all'antica patria senza giovare ai nuovi amici: ultimamente non seppe usare la occasione che forse gli spianava la strada alla possessione d'Italia, solo che avesse mostrato mente più riposata e volontà meno propensa al regnare assoluto. Elesse i suoi sudditi con freno assai temperato, li amò come principe dolce e benefico, e spese tutte le sue sostanze (più di cinquanta milioni di franchi) a sollievo ed abbellimento della città capitale di Napoli; spettacolo raro, anzi maraviglioso e da non potersi mai abbastanza esaltare, che di là d'onde altri principi se n'erano sempre andati ricchi e assai ben provveduti di masserizie. Murat si dovesse partire povero e sprovvisto del necessario al vivere agiato. Guerriero l'animo, piacevole l'aspetto, nobile la persona, generoso il cuore; ma poche in lui le lettere che temperano la rozzezza del guerriero, poca la conoscenza delle faccende pubbliche, molto l'ardimento e la vanità, che più volte lo fecero trascorrere a consigli contrarii all'utile proprio, ed infine lo trassero a morte, altamente compassionevole, oscura.
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