Un'umile, angusta fossa del comune cimitero del Pizzo chiude ora le ceneri di colui, del quale le imperiali tombe di san Dionigi di Francia e le reali di Napoli parevano con nobile gara doversi un giorno contendere il possesso; ed un caso che nissuno, ancorchè previdentissimo fosse, avrebbe potuto mai prevedere, tolse dal mondo un capitano cui cento campali battaglie ed altrettanti minori combattimenti italici, egiziaci, germanici, russi, avevano infino allora rispettato ed invulnerabile acclamato. Grato e perenne il suo nome in Napoli, dove con sincera gratitudine si ricordano e con affetto soavissimo si esaltano di Murat la beneficenza, i miglioramenti, le cure; stampato d'eterna infamia quello del suo uccisore, esecrato da tutta una nazione per gli spergiuri, pei vizii, per le crudeltà. Inutili vanti, discorsi vani, ridicole apparenze del mondo sono da gran tempo i vantati nomi di giustizia, di umanità, di religione!
Si rallegrarono alla morte di Murat coloro i quali, o per un amore eccessivo alla regnante famiglia, o per un vile interesse, o solo per una perversa inclinazione dell'animo loro, opinavano che niuna testimonianza di affetto umano dovesse temperare quel rigore d'imperio assoluto; e non altro vedendo in Murat che un re plebeo ed intruso, credevano che l'ammazzarlo fosse non solo lecito, ma debito di chi allora reggeva le napolitano sorti. Ne furono da un altro lato grandemente contristati tutti quelli i quali, o per casi comuni di vita, o per vicendevoli dimostrazioni di servigi fatti e resi, o per premii ed onori largamente retribuiti, e pietosamente risguardando a quel nobile infortunio, desideravano che con un percuotere mite si punisse un moto piuttosto inconsiderato, che ostile.
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