Il più delle volte si discutevano in quelle adunanze gl'interessi del paese; non di rado quelli di una terra o di un ceto particolare; e l'utile in tal caso sempre si anteponeva all'onesto, i privilegi alla giustizia.
Non erano state tutte le terre della Sicilia assoggettate a feudo, rimanendo una classe di possessori le cui proprietà rispettate dianzi dai Saraceni, rispettate ora dai Normanni, non mutarono padrone: dicevansi tali beni allodiali o burgensatici(30), e i possessori loro borgesi e borghesi. Costoro, cresciuti in progresso di tempo di numero e di possessi, vennero acquistando un'importanza infino allora non avvertita, e più tardi entrarono a far parte del parlamento composto prima di soli feudatari; il che avvenne allorchè i baroni cresciuti similmente di forza, di aderenze, di autorità, misero timore nel potere regio, che per contenerli si accostò al popolo, e chiamò i suoi rappresentanti alle generali assemblee. Questo benefizio fu specialmente opera di Federico II, che primo nel parlamento di Lentini, l'anno 1233, riconobbe formalmente la rappresentanza popolare, avendovi ammessi cittadini d'ogni città e terra del demanio, ossia di quelle che spettavano al re. Ebbe dunque la Sicilia parlamenti contemporanei alla monarchia, della quale erano essi moderatori; ma privi dell'elemento popolare fino al XIII secolo, in cui, separatisi i baroni ecclesiastici dai baroni laici, rimasero definitamente costituiti in tre camere o bracci; il braccio militare o dei baroni, il braccio ecclesiastico, ossia dei vescovi ed abati, ed il braccio demaniale, il quale comprendeva i rappresentanti delle città demaniali.
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