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      Sperava di volgere a suo grado i membri pių influenti del parlamento, ed operare in guisa che si accrescessero i dazii per aprire nuove fonti di entrate alla corte, le cui mire erano allora rivolte a tener viva con l'oro la sua parte nel regno perduto. Nč furono senza buoni risultamenti i tentativi del ministro appresso ai membri pių a lui obbligati del braccio ecclesiastico e demaniale; ma i baroni, parte per avversione al Medici, parte per amore delle nazionali franchigie, parte infine perchč s'indettavano coi principi di Belmonte e di Castelnuovo, capi della parte popolare in Sicilia, ricusarono il donativo, e si mostrarono risoluti alla resistenza. Proponeva anzi il principe di Belmonte, e chi a lui pių strettamente si aderiva, che si abolissero per decisione del parlamento tutti i donativi infino a quel giorno consentiti, e tutte le imposte dirette sopra i fondi e le rendite; di tutti questi fondi e rendite, di qualunque natura si fossero, facessesi un nuovo catasto, e la rendita di ciascun fondo, feudale o no, si tassasse di una imposta del cinque per cento; la qual cosa avrebbe per sč sola accresciuto l'ammontare delle entrate dello Stato, fatta scomparire la confusione che da pių anni si osservava nella finanza, e ripartiti i pubblici pesi in giusta proporzione della ricchezza d'ognuno. Si opposero alla lor volta i ministri al proposto provvedimento del principe, e insistettero pel donativo straordinario. Il re, la regina e la corte dal canto loro fiancheggiavano la insistenza dei ministri; ma a questa volta i baroni, assistiti anche da parecchi ecclesiastici pių accreditati del parlamento che s'erano uniti a loro, vinsero il partito: le lodi del principe di Belmonte, e di chi con lui aveva promosso i diritti della nazione contra le pretese dei cortigiani, salirono al colmo.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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