Così rimasero per qualche tempo in Sicilia le condizioni dell'isola e del parlamento.
La negativa del donativo era sommamente dispiaciuta alla corte, ma più forse la resistenza palesata dai più fra i membri del braccio baronale ed ecclesiastico, e da quel giorno Ferdinando e Carolina concepirono una grande ripugnanza alle forme parlamentari non solo, ma alla costituzione siciliana, che metteva loro un duro freno in bocca. Con tutto ciò non ne facevano manifesta dimostrazione, stimando non ancora venuto il tempo opportuno a scoprirsi; si studiavano però essi e i loro fautori di procacciarsi aderenti nella parte popolare, e non senza frutto; s'adoperarono parimente a tirare a sè con lusinghe e promesse molto allettatrici i più docili fra i nobili siciliani; e forti in tal guisa di seguaci e d'intelligenze, fecero adottare in un consiglio di ministri la decisione di poter levare tributi senza il consenso del parlamento. La corte menò vanto di questa concessione come di un trionfo segnalato su coloro che difendevano con tanta insistenza le prerogative del parlamento e l'essenza stessa della costituzione. Ma non se ne stettero oziosi i baroni, a capo de' quali anche in questa occasione s'erano posti i due principi Belmonte e Castelnuovo, e si fecero innanzi con una rimostranza al re, in cui protestando risolutamente contra la pretesa di porre le contribuzioni senza il consenso del parlamento, lo esortavano insieme a non recare tale offesa ad uno statuto, ch'era da tutti risguardato come il palladio delle libertà siciliane.
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