Il principe di Castelnuovo, non inferiore certamente al primo per l'amore che portava al proprio paese, era piuttosto uomo da essere tirato in una impresa risoluta, che da tirarvi altrui. Per verità, dava qualche fastidio a Ferdinando quell'edifizio della costituzione così recentemente data, così solennemente consentita, così universalmente e caldamente accettata; ma per farlo cadere, confidava nelle macchinazioni proprie e nelle ambizioni altrui; quando fosse caduto, aveva piena fiducia nel consentimento dei potentati congiunti ed amici; sperava nell'adesione della medesima Inghilterra. Vedremo infatti fra breve, che principali cooperatori al Borbone nell'opera astutissima di conculcare la siciliana costituzione furono quegli stessi Inglesi che tanto l'avevano dianzi con gli sforzi loro promossa, con le armi e la costanza confermata.
Conosciuto il re Ferdinando nel 1815, che per la guerra impegnatasi fra l'Austria e Murat, non tarderebbero le operazioni militari della prima a fargli abilità di ricuperare il maggior suo seggio di Napoli, si mise prima di tutto in pronto di profittare quanto più presto possibile di tali vantaggi, e regolare dipoi quella faccenda del parlamento, che gli dava ora tanta molestia. Prevedeva, che ove si fosse allontanato dalla Sicilia senza prima assestare le cose per modo che non potessero in avvenire turbargli i pensieri, avrebbero certamente i Siciliani usato la sua lontananza a loro particolare profitto; forse anco si sarebbero nascostamente adoperati tutti coloro che avversavano il sovrano e la corte, e indettatisi fra di loro, avrebbero infine potuto condurre a mal partito l'autorità del Borbone in quelle parti.
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