Continuassero intanto, conchiudeva il principe in nome di Ferdinando, continuassero ad essere in vigore la libertà dello scrivere e dello stampare, purchè quella temperanza in entrambe si osservasse, che richiedevano l'utile e il decoro dello Stato, si appartenevano alla santità della religione e dei costumi e alla intangibilità della real persona; in tutto con quelle precauzioni che assicurano la quiete pubblica.
È pur d'uopo confessare, che in questi ultimi anni la costituzione siciliana era stata più d'una volta inceppata nel suo andamento da Ferdinando, il quale, per iscusare la sua ripugnanza a quello statuto, diceva solitamente di non averlo giurato. Ciò in sostanza era vero; ma vero era ancora, che il principe vicario ebbe il mandato da lui di giurarlo in suo nome. Era poi chiaro ad ognuno, che la forza, il massimo sostegno alla data costituzione, non potea venire d'altronde che dall'Inghilterra. Ma questa potenza, dopo i primi rovesci di fortuna di Napoleone, o che volesse compiacere alle mire degli alleati, o che avesse fatto qualche pensiero sulla Sicilia, non procedeva più colla medesima caldezza di prima; ed è fatto certo, che la stesso lord Bentinck tanto operoso l'anno 1812 per la costituzione, dopo nuove istruzioni mandategli dai ministri inglesi da Londra, si mostrò in ogni suo andare più cauto, più inclinato ai temporeggiamenti, e meno altresì dalla corte independente. Non andò però molto tempo, che a Guglielmo Bentinck succedette Guglielmo A' Court come ministro della Gran Bretagna presso la corte siciliana, e si videro allora in Sicilia le medesime doppiezze e le medesime perfidie inglesi, che a Genova.
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