Scriveva infatti il rappresentante dell'Inghilterra da Parigi a Bentinck, che chiamava a sè i popoli con parole d'independenza, non avere più mestieri gli alleati di tali sussidii, ma sì piuttosto di milizie armate e regolari, e di uomini obbedienti ai principi loro(32). Mandava il rappresentante medesimo da Vienna ad A' Court, prescrivendogli i procedimenti da adottarsi verso il governo del re Ferdinando, trovare oggimai il gabinetto britannico le sue maggiori convenienze nell'accostarsi ai governi assoluti piuttosto che ai liberi, ed avete oltre a ciò in questi ultimi anni prevalso in tutta la Sicilia tale uno spirito di democrazia, da non piacere in alcun modo alla Gran Bretagna(33). Ferdinando, che qualche cosa già sapeva della compiacenza del congresso viennese verso di lui, e già anzi disponendosi alla partenza per Napoli, non amava che il parlamento siciliano seguitasse in sua assenza ad adunarsi e deliberare nelle sue sedute sopra negozii di Stato, lo dichiarò chiuso nel modo che abbiamo sopra raccontato.
Tornò in quei medesimi giorni da Vienna in Sicilia il cavaliere Medici, il quale diè promessa al re suo signore di somma benevolenza, e occorrendo anche, di aiuti per parte dei principi confederati: il Borbone, che meditava in segreto o con saputa di pochi il migliore e più spedito mezzo di disfare la costituzione, ne prese subito buon augurio, e incominciò dal nominare una commissione che avesse il carico di rivederla. Il re, come abbiamo già detto, non si teneva astretto dal suo giuramento a conservare ai Siciliani le loro libertà; ma quel solo nome di costituzione che suonava altamente in tutta la Sicilia, quel consentire che una particolare commissione la sottoponesse ad esame, mostrava che si volesse meglio correggere che disfare, e tale non era la mente di Ferdinando nè quella de' ministri suoi, i quali, lasciando sussistere lo statuto in Sicilia, temevano di doverlo un bel giorno allargare anche a Napoli.
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