Ma grave puntura soprattutto al cuore di Ferdinando erano quel parlamento e quella costituzione rimaste in Sicilia, da cui, ove non si fossero presi efficaci rimedii in contrario, avrebbero potuto venire esempii pericolosi per la monarchia, ed estendersi nelle restanti province di terraferma quelle istituzioni liberali attualmente confinate nelle terre di là dal Faro: già anzi se ne gettavano motti in Napoli; già si spargeva, che la uniformità degli statuti era a que' giorni il solo lodevole desiderio in cui dovevano concorrere unanimi i Siciliani e i Napolitani. Per la qual cosa il Borbone volendo ad ogni modo preoccupare il passo a qualche improvvisa dimostrazione di popoli, fatto d'altronde sicuro dalla cooperazione del gabinetto di Vienna in suo favore, ed in particolare da un trattato d'alleanza già prima conchiuso con l'Austria, la quale faceva anche stanziare un esercito nel regno per afforzare, ove il bisogno lo richiedesse, le deliberazioni del re, per due editti dei giorni 8 e 11 dicembre dell'anno 1816, Ferdinando da Napoli mandava:
Il congresso di Vienna, al quale debbe il mondo riconoscente sapere buon grado della data pace e della solidata giustizia a sollievo dei popoli oppressi, avere dianzi riconosciuta la legittimità de' suoi diritti alle due corone di Napoli e di Sicilia; avere medesimamente i principi collegati ed amici appruovata una tale deliberazione del viennese congresso, e lui volere ora mandarla ad effetto col riunire in un solo i due regni divisi, e con assumere il nome di Ferdinando I. Quindi, dopo di avere dichiarato nel primo editto che tutti i domini tanto di qua quanto di là dal Faro costituirebbero in avvenire il regno delle Due Sicilie, e dopo di avere regolata a perpetuità la successione nella sua famiglia con la legge emanata l'anno 1759 dal re Carlo III, suo augusto genitore e predecessore, il re Ferdinando stabiliva nel secondo: Piacergli pubblicamente riconoscere e confermare i privilegi dei Siciliani, ad essi guarentiti dai patrii statuti; ma credersi in pari tempo obbligato a far concordare la osservanza dei medesimi con la unità di quelle politiche istituzioni le quali dovrebbero da ora innanzi costituire il diritto pubblico del regno delle Due Sicilie; statuire pertanto, che tutte le cariche e funzioni sì civili che ecclesiastiche della Sicilia di là dal Faro al Siciliani unicamente si conferissero, ma non potessero questi pretendere alle medesime prerogative nelle possessioni di qua dal Faro; i Siciliani fossero ammessi dalla real volontà o dai meritati favori alle cariche primarie del regno, ragguagliati però proporzionatamente al rimanente della popolazione, che è quanto dire per una quarta parte; negl'impieghi sì di terra che di mare ed in quelli della casa reale fossero i Siciliani pareggiati ai Napolitani; rimanesse in avvenire, come negli anni addietro, unita nella persona di Ferdinando Borbone e de' suoi successori la sovranità dei due paesi; libero nel re di risiedere in Napoli o in Sicilia; ma in assenza del sovrano si lasciasse al governo dell'isola in qualità di luogotenente generale un principe della famiglia reale o un personaggio cospicuo della nazione a ciò espressamente nominato dalla compiacenza del re; le cause dei Siciliani doversi giudicare e definire in ultimo appello dai tribunali proprii; onde sarebbero due tribunali supremi di giustizia, uno di qua, l'altro di là dal Faro; confermarsi tanto in Sicilia, quanto negli altri dominii di qua dal Faro l'abolizione delle istituzioni feudali; essere infine confermato il tributo da pagarsi ogni anno dalla Sicilia a Napoli in 1,847,687 once, che sono in tutto più di 23 milioni delle nostre lire, sommata innanzi fissata dal parlamento dell'anno 1813; ma non mai si potrebbero negli anni futuri crescere le imposte nell'isola, nè dimandare nuovi tributi senza il formale consenso del parlamento; si prelevasse ogni anno dall'imposta suddetta una somma non minore di 150,000 once per la graduale estinzione del debito pubblico, Questo in sostanza è il tenore degli editti napolitani; ed è caso singolare veramente, che in fronte ad un decreto regio tanto offensivo alla libertà e indipendenza della Sicilia, si seguitasse a scrivere la solita formola: Volendo confermare a' nostri carissimi Siciliani i privilegi conceduti da Noi e dai sovrani nostri augusti predecessori.
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