L'ambasciatore riferì a Castlereagh, essere intenzione del re Ferdinando Borbone d'introdurre mutazioni di gran momento nello statuto costituzionale della Sicilia, e lui chiedere istruzioni in proposito. Rispose il ministro inglese, non essere fatta autorità al governo di sua maestà britannica d'ingerirsi nelle interne faccende di uno Stato qualunque, massime se questi vivesse in buoni termini di amicizia colla Gran-Bretagna; non interverrebbe adunque nelle deliberazioni del re Ferdinando, salvo il caso che si vedessero esposti ai mali trattamenti del governo napolitano coloro che negli anni precedenti avevano parteggiato per l'Inghilterra o in qualsivoglia modo partecipato agli affari insieme con le autorità inglesi, oppure si alterassero in guisa i siciliani statuti da necessitare apertamente l'intervento del governo inglese. Non soddisfece la risposta; e nuovi tentativi furono fatti dal Borbone e dai ministri di Napoli presso l'ambasciatore per renderselo propizio ed amico. A' Court, che non ignorava quanto importante fosse allora il sollecitare questa faccenda per non lasciar tempo ai Siciliani di addarsi, andò a Londra, s'abboccò con Castlereagh, tornò in Napoli, e tosto i ministri napolitani si diedero a tenere consulte intorno a ciò che fosse da farsi. Era evidente, che l'ambasciatore aveva trovato modo a Londra di vincere gli scrupoli più apparenti che veri di Castlereagh.
Assisteva alle consulte napolitano lo stesso A' Court; e questo procedimento strano certamente parrà a chiunque consideri che nissun ministro di una potenza esterna, anche congiunta ed amica, era chiamato a quelle deliberazioni, e che argomento loro era di spegnere una costituzione data pochi anni prima e guarentita dall'Inghilterra.
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