Se n'avvidero ben presto i miseri Siciliani, ai quali questa volta toccò di fare largamente le spese ai loro oppressori. La rendita siciliana, che non poteva oltrepassare la somma di 1,847,687 once, ossieno più di 23 milioni di lire italiane, crebbe fra non molto fino a 2,036,326 once, che fanno 26,204,073 delle nostre lire, non comprese in quest'ultima somma varie altre imposte particolari che gravavano i Comuni dell'isola, e più della metà di que' 26 milioni traboccavano ogni anno, quasi annuo tributo siciliano, nelle pubbliche casse di Napoli. Nè pareggiava la somma totale della rendita quella supposta dei pesi; perchè molti possessori di terre, sperimentatili eccessivi e di gran lunga maggiori dei prodotti, le abbandonarono incolte e ad uso di pascoli; scaddero per tal guisa in una delle più fertili contrade d'Europa, non solo l'agricoltura, ma il commercio e le industrie, e grandemente ne scapitarono negl'interessi loro non poche agiate famiglie di proprietarii o commercianti. Afferma infine il Palmieri, il quale, come ognuno sa, è autorità molto competente in questa materia, che le 150,000 once assegnate dal regio decreto ad estinguere il debito pubblico, in vece di servire a soddisfare alle ragioni dei creditori dello Stato, furono per disposizione dei governanti napolitani deliberate all'Austria, finchè non si fosse per loro adempito agli obblighi incontrati verso quella potenza per la guerra dell'anno 1815 contro Murat. Non il comando temperato da istituzioni costituzionali e da sindacato di nazionali assemblee, ma l'imperio arbitrario, assoluto piaceva a Ferdinando Borbone di Napoli.
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