Tali furono i vicendevoli parlari fra Roma e Napoli; dai quali si conosce, che la prima con in fronte lo specioso titolo di diritto ecclesiastico, mirava evidentemente a far rivivere quelle massime che tanto avevano prevalso ai secoli della eccessiva barbarie; il secondo a francare la potestà temporale dalla ingerenza dello spirituale, facendo mostra di una certa libertà religiosa che molto piaceva ai filosofi. La quale libertà se Ferdinando avesse fatto prevalere fino all'ultimo, nissuno è che non veda di quanta importanza il caso sarebbe stato, e quante conseguenze avrebbe dietro di sè necessariamente tirate.
Erano così disposte le cose e gli animi, e non bene ancora si prevedeva da quale dei due lati fosse per inchinare la bilancia, quando un accidente propizio e le macchinazioni dei preti, che diventavano ogni giorno più insistenti, diedero del tutto la causa vinta a Roma. Questi litigi molto per verità premevano e contristavano Ferdinando, che in proposito di religione non voleva gli fosse data la taccia di novatore, ed aveva soprattutto in orrore perfino le apparenze di una discordia colla santa Sede, perchè la pace e il riposo dello spirito dì e notte gli toglievano. Spesso anzi le minacce di Pio gli tornavano in mente; e quantunque a certi intervalli si sforzasse di fuggirne la ricordanza coll'immergersi nella varietà dei piaceri e delle caccie, pure di tempo in tempo i terrori religiosi tornavano più importuni ad assalirlo, e nella più intima parte dell'animo il tormentavano.
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