Di tal forma fu il tenore del concordato seguito l'anno 1818 fra Roma e Napoli; nel quale si rende manifesto, che ambe le parti si trovarono facilmente d'accordo, ma per diversi fini; il re Ferdinando per timida natura, il suo ministro Medici per desiderio di maggiormente insinuarsi nella grazia sovrana, andando a' versi al debole monarca, il pontefice e Roma per accrescimento d'imperio. Ella è cosa evidente, che Roma ebbe in ciò l'onore della vittoria, del che si mostrò lieta oltremodo; e se i tempi avesse ella avuti meno avversi, o gli spiriti più risoluti, o la volontà de' suoi reggitori meno propensa al comandare temperatamente, avrebbe la sedia apostolica potuto levarsi ancora più su con le pretensioni, e un'altra volta spaventare i principi italiani col fanatismo delle chiavi. Questa circostanza è poi tanto più osservabile a questo punto della nostra storia, in quanto che ai tempi di cui ora discorriamo le potenze d'Europa si mostravano unanimi nel voler ridurre entro i termini di una giusta convenzione gli appetiti immoderati di Roma ed il procedere insolente della curia; dal che derivava, che la condiscendenza di Ferdinando era non solo dannosa nel fatto, ma molto più da biasimarsi per l'esempio. Non dirò solo l'Italia, ma l'Europa tutta dee eternamente abbominare il nome di Ferdinando che consentì a Roma quello che uomini versati in giurisprudenza, versati in sacre lettere, avevano mai sempre ricusato; quello cui la giustizia ripruovava, quello che le istituzioni di un paese pervertiva, i fondamenti dello Stato crollava, la libertà stessa della corona in certo pericolo metteva.
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