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      Dichiarava per sempre aboliti nei domini della santa Sede il codice di Francia, il codice penale e quello di procedura; continuare a sussistere qual era allora in vigore il codice di commercio ed il sistema delle ipoteche; tornò in vita l'antica legislazione civile e criminale romana, qual era in uso allorchè cessò in Roma di fatto il governo pontificio, escludendo però la pratica della tortura; diceva, si penserebbe con maggior ponderatezza di giudizio a regolare i diritti feudali e le successioni delle famiglie, ma intanto, e fino ad ulteriore disposizione, mantenersi l'abolizione dei fidecommessi, con promessa eziandio di provvedere in seguito per quelli che si volessero novellamente fondare. Dichiarava similmente e specialmente abolite le disposizioni intorno ai matrimonio i diritti di registro, della carta bollata, il sacrilego demanio e la infame beneficenza, vale a dire quella istituzione che alle famiglie povere assegnava giornalieri lavori di mano, acciocchè trovassero nella coltura dei campi o nell'esercizio delle industrie un modo onorato di procacciare il pane a' figliuoli; faceva di nuovo rizzare sulla via del Corso, la principale di quella vasta metropoli della cristianità, il supplizio della corda, perchè meglio imparassero a stimare i cittadini il paterno governo di Sua Santità, e un'altra volta atterriti rimanessero alle apparenze del medio evo ribenedette da Pio. I Romani questo provvedimento chiamavano nelle satire loro: Beneficenza pontificia. Del resto, non una parola intorno a certe altre pratiche antiche della curia romana, che il tempio voleva mutate; non una parola che accennasse a conferma delle riforme già prima introdotte negli ordini religiosi; che promettesse di avviare secondo il sentire del secolo l'educazione della gioventù; che assicurasse ai popoli incerti dell'avvenire il miglior progresso delle industrie, della pubblica istruzione, dei benefizii derivati dalla moderna civiltà.


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-Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834
Parte prima 1814-22
di Giuseppe Martini
Tipogr. Elvetica Torino
1850-1852 pagine 496

   





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