Inutilmente da quel giorno tentarono l'imperatore Carlo V con l'armi e le seduzioni, gl'infaticabili gesuiti con gl'intrighi nelle corti e le missioni, di tornare gli spiriti alla usata obbedienza verso Roma; non che potesse il papato risorgere dall'abbassamento in cui era caduto, vide andare ogni dì più il suo credito primitivo in manifesta declinazione, o che ciò avvenisse per l'opera molto assidua dei capi delle nuove credenze religiose, o per la naturale tendenza dei re a liberarsi da qualunque soggezione verso la curia romana, o per gli eccessi medesimi de' suoi fautori, o per le dottrine largamente sparse dai filosofi francesi, o per l'ognora crescente cammino della civiltà europea. La stampa diffondeva in quel mentre i ragionamenti della filosofia intorno a Roma, e li recava perfino nei gabinetti dei principi. Di fatto, correndo il secolo XVIII, si videro unanimi nel pensiero di esimersi dalle imperiose esigenze dei papi, non solo il Portogallo, la Spagna e la stessa devota e pacifica Germania per volere immutabile dell'imperatore Giuseppe II, ma Parma per opera del ministro Du Tillot e di altri, vogliosi parimente di far prevalere le ragioni del principato sulle pretese della Chiesa; Napoli per opera di Tanucci, De Marco e di più altri, coraggiosi difensori della independenza della corona; la Toscana per opera di Pietro Leopoldo e del vescovo Ricci, instancabili nel dimandare, non già novità sovvertitrici della morale evangelica, ma odiose alla santa Sede, perchè promovitrici di utili riforme nelle ecclesiastiche discipline.
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