Il sommo pontefice Pio VII, sebbene di animo dolce ed umano, di costumi angelici e semplici come quelli d'un claustrale, non aveva però del chiostro le grettezze, l'egoismo e le animosità; non gli si potevano nemmeno giustamente imputare le cattive qualità della mente che tanto rendono odiosi ai popoli certi moderni reggitori di nazioni; ma non era in tutto spoglio di quelle prevenzioni, che negli affari di Stato fanno sempre commettere gravissimi errori, quando non sieno superate dal retto giudizio e dalla sana ragione. Riteneva invero Pio VII, che le riforme ch'egli disegnava impiantare nello Stato romano gli fossero imperiosamente suggerite, non tanto dalla sua qualità di principe, quanto, e molto più, da quella che sopra ogni altra egli apprezzava di pontefice, padre amorosissimo de' suoi sudditi; poi, dopo la occupazione del suo Stato per parte dei Francesi, le risguardava anche come un atto di giustizia e di rispetto ai diversi interessi che n'erano immediatamente discesi. E perchè l'opinione che s'era Pio formata della sua qualità di capo e moderatore supremo della chiesa, stava veramente in cima a' suoi pensieri, così sperava che, conciliando con quei primi provvedimenti amministrativi stima ed amore all'autorità temporale del papa, l'accrescerebbe in pari misura alla spirituale; sperava anzi, che i popoli grati al principe, venererebbero il pontefice, e che popoli e principi, ammirati alla felicità di cui godevasi nelle terre sottoposte a Roma, amicandosi al governo di lei, s'amicherebbero del pari alla religione di Cristo, ch'egli credeva dover promovere con tutte le sue forze.
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