Quivi il passato dominio francese, in mezzo al plauso delle riconoscenti popolazioni, aveva abolito tutti gli abusi civili ed economici invalsi fino al giorno dell'elezione di Pio VII, e che nemmeno questo pontefice aveva potuto distruggere al suo avvenimento al trono; aveva, imitando in ciò la sapienza dei legislatori di tutti i tempi e di tutti i paesi, dissipato gli antichi errori, gli antichi pregiudizii, gli antichi privilegi della corte e dell'amministrazione romana; abolite parimente le istituzioni, i privilegi e gli abusi delle mani morte, gli orrori del tribunale detto della Santa Inquisizione, le malvagità e le ingiustizie degli altri tribunali eccezionali; promosse nelle diverse classi dello Stato le idee di una giustizia rettamente amministrata, e quelle della equalità civile; guarentiti tutti i benefizii del codice Napoleone e della moderna civiltà negli Stati romani afflitti infino a quel giorno dai danni infiniti dei monopolii, dei privilegi di persone e di classi, dei diritti di confisca, della barbarie radicatasi per lunga consuetudine d'anni e di usi nella legislazione penale, di tutti gli abusi non ancora dismessi della feudalità e della superstizione. La memoria di tali benefizii era rimasta; e stavano gl'imparziali uomini a vedere fino a qual punto si sapessero ora conservare e conciliare colla nuova amministrazione dei preti, che a quella dei Francesi succedeva. Poteva essere per il nuovo governo pontificio del pari pericoloso il consentire ai sudditi troppo o troppo poco di quelle istituzioni; ma Pio VII e Consalvi si maneggiarono più d'una volta in tale bisogna con una perspicacia ed una persistenza degne l'una e l'altra di grandissima lode.
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