Nelle quali disposizioni prese complessivamente si osservavano al certo molte parti buone, ma altresì non pochi difetti; e primo fra questi il potere conferito agli ecclesiastici con esclusione dei laici; secondo, certe prerogative e certi privilegi che il tempo ripruovava, e la saviezza del governo avrebbe dovuto sconsigliare, ora nuovamente ristabilite in favore dei preti; terzo, le promesse di nuovo fatte, ma di poi non mantenute, di altri miglioramenti civili, che pure sarebbero stati non solo necessari, ma indispensabili. Era cosa enorme il vedere, che si facessero le cariche e gl'impieghi dello Stato privilegio e quasi proprietà ereditaria di una sola classe, degli ecclesiastici, e che non si ammettessero a parteciparvi indistintamente tutti i cittadini, purchè onesti e capaci. La corte di Roma seguitava invero a governarsi con gli usi del medio evo, allorchè non pure le leggi e gli editti, ma le stesse regole amministrative per gli Stati si compilavano nei concilii dei vescovi e dei prelati, i soli dotti d'allora; ma oggi che i destini delle nazioni si agitano o si maturano nelle assemblee, nei parlamenti, nelle università e nelle scuole per mezzo degli studii sui libri, delle discussioni orali e della pratica del mondo; oggi che il sapere non è più patrimonio esclusivo degli ecclesiastici, e che i laici più specialmente si occupano dello studio della legislazione, dell'economia e della politica, non si vede perchè debbano costoro essere esclusi dalle cariche governative.
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