Certo, se s'avesse in Roma dovuto far giudizio della scienza dal fasto dei cardinali; dalla pompa religiosa nelle funzioni di chiesa, dal numero ognora crescente dei monsignori, dei preti e dei conventi, dalle biblioteche ricchissime di libri e manoscritti, dall'ostentazione dei patrizii o porporati letterati nelle adunanze accademiche, dal tuono grave e cattedratico dei professori di università, niuna o pochissime città in Italia sarebbero state pari a Roma nella conoscenza elevata delle dottrine, niuna meglio di lei avrebbe allora meritato il soprannome di dotta e maestra all'altre in ogni ramo dell'umano sapere. Ma siccome le necessità dei moderni tempi dimandano qualche cosa di più pregiata che non sono i vani titoli, i vanti, le pompe e le illustri protezioni, così è giusto il dire, che spesso in Roma la realtà contrastava con le apparenze, e che i più eccelsi, i più promossi dal favore degli accademici o dei grandi non erano sempre i più dotti nelle materie ecclesiastiche, letterarie e civili. Non crediamo asserire cosa contraria alla verità, dicendo, che nell'assegnare negli Stati pontificii le parti di professore o direttore di studii, spesso non furono richiesti i più degni per suppellettile abbondante ed eletta di dottrina, e che talvolta anzi vennero costoro esclusi per disposizione superiore: volevansi più specialmente preti, e fra i preti coloro che avevano fama di devoti, costumati e pazienti; ciò che nel linguaggio usato comunemente in corte di Roma voleva dire orecchiuti.
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