Come incerti e lenti i provvedimenti che dovevano confortare il progresso intelletuale e morale, così quelli da cui aspettavano la maggior floridezza loro l'agricoltura, il commercio e le industrie. Incominciavano, per la mala amministrazione del governo pontificio, a scemare i prodotti delle saline di Cervia. Le campagne anche più prossime alla capitale deserte di coltura e di abitazioni, nude, sterili, sparse solo di poveri e lontanissimi casali, in cui vivono contadini attristiti, macilenti, estenuati dalle fatiche. Povero è il suolo, infestato da un'aria pestilenziale; e nondimeno l'occhio maravigliato del viaggiatore non si sazia di guardare a quelle pianure vastissime, a quel terreno atto a produrre biade e frutte d'ogni sorta, se non lo gravassero il governo d'imposte, i signori di oppressioni e di pesi che talora ricordano i tempi feudali, e costringono i contadini ad abbandonare la misera terra. Poi, essendo i beni degli ecclesiastici esenti dalle tasse comuni o scarsamente pagando, ripugnava l'agricoltore ai lavori campestri, già sicuro che coi sudori e le privazioni sue e della famiglia, provvederebbe al grasso vivere di pochi oziosi claustrali. Il commercio che dai porti di Civitavecchia e di Ancona, per le aperte vie del Mediterraneo e dell'Adriatico, poteva arricchire di grossi guadagni i solerti navigatori e i trafficanti dello Stato romano, quasi tutto in mano de' forestieri, degli Ebrei, dei monopolisti; e di costoro, chi più denaro sborsava a qualche prelato, a qualche suo segretario o impiegato de' primi, più favori, concessioni e profitti otteneva.
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