Miravasi altresì, ed in ciò anzi conveniva il parere di alcuni fra gli stessi ministri del re, a che non si facesse gran mostra di voler ampliare le prerogative della santa Sede con una deferenza che trapassasse i giusti limiti; qualche dimostrazione ancora facessesi in favore delle libertà della chiesa gallicana; si rassicurassero specialmente con atti franchi ed unanimi dei ministri e del re gli acquistatori e possessori di beni ecclesiastici, i quali a motivo appunto del presente trattato con Roma stavano in grandissima apprensione. Così nelle particolari consulte di Francia, e nella generalità delle opinioni; ed ognuno, che per debito del suo uffizio trattasse o solamente ragionasse di una materia tanto importante, secondo il proprio sentire, vedeva nel concordato il principio del meglio, se prestamente si accettasse, o la continuazione del male, se inavvertentemente si rifiutasse.
Ma prima ancora che fossero incominciate le contrarie discussioni nei consigli dello Stato, e quelle parimente contrarie nelle Camere legislative, non se n'erano rimaste in silenzio ad aspettare le lingue e i giornali delle varie opinioni. Rappresentavano gli uni il novello concordato, non solo come opera giusta, ma eziandio necessaria; lo dicevano restitutore di quella concordia stata sempre inalterabile fra il sommo pontefice, padre amorosissimo dei fedeli, e Luigi di Francia cristianissimo re; mezzo infallibile per far concorrere le due corti unite al massimo bene della religione; datore di certa quiete alle anime esacerbate per la rilassatezza da più anni spietatamente introdottasi nelle ecclesiastiche discipline; freno agli acattolici, sostegno del trono, argine alle idee disordinate, fine agli sconvolgimenti originati dalla passata rivoluzione, principio di una nuova era religiosa, la quale non mancherebbe di sorgere sotto auspicii fortunati, perchè inaugurata dall'altare e dal trono stretti in bella e mirabile unione.
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Sede Roma Francia Stato Camere Luigi Francia
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