Dalle quali lamentazioni conseguitò, che l'ammiraglio Exmouth, a cui questa volta s'era aggiunta una flotta del re dei Paesi Bassi, ai 27 di agosto comparve di nuovo in cospetto di Algeri per chiedervi riparazione alle offese di Bona e di Orano. Negativa, ed anzi non iscompagnata da qualche minaccia, fu la risposta del dey, il quale mandò ordine ai suoi di danneggiare quanto più potessero coi tiri le navi d'Inghilterra che si fossero avvicinate alla spiaggia: per la qual cosa l'armata inglese attelandosi avanti alla città, incominciò a gettare palle e bombe contra le batterie piantate a difesa, ma troppo debole riparo a quella incessante tempesta d'armi e di fuoco. Rovinavano le case e gli edifizii; si spaventava e fuggiva la gente; ogni cosa mista di confusione, di sbigottimento e di orrore. Infine quando credette l'Inglese che lo spavento avrebbe piegati al timore di maggiori infortunii quegli animi duri ed inumani, entrato colle sue navi più leggiere nel porto d'Algeri, incendiò in poco d'ora con l'arsenale il navilio, quattro fregate, cinque corvette ed altri legni minori, i magazzini e gli attrezzi navali che si trovavano in essi. Acconsentì a quest'ultima dimostrazione il dey al trattato, con cui si obbligava di estirpare ne' suoi Stati la pratica della schiavitù, e rimandava liberi e senza compenso alcuno tutti coloro che ancora riteneva prigioni: giusta punizione inflitta agli Algerini per la rotta fede e per le commesse sfrenatezze di Bona e di Orano. Sommavano i liberati a mille e cinquecento, fra i quali settecento sette del regno delle Due Sicilie, cento settantanove degli Stati pontificii, ed i restanti Sardi, Genovesi e Toscani.
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