Cosí le mie serie occupazioni non m'impedissero di meditarci alla lunga, provar mi vorrei d'individuarne i fatti, analizzarne gli effetti, e stabilirne le cagioni; ma non mi è tanto permesso. Qualche celebre jettatore ha fatto sí che dovessi sempre in disagio, sempre in fatiche, sempre in serii pensieri aggirarmi.
Troppo piacevole mi si discopre l'argomento; cosicché mi ci sento rapire al solo pensarvi: ma qual colpa è la mia, se non posso spaziarmi a dovere? Se un giorno vincerò gl'influssi rei, che tuttavia soffro de' malnati jettatori, ripiglierò con piú agio il vostro argomento; ed allora sí, che vedreste forse eseguito piú di un vostro progetto. Ah! me ne avveggo in mal punto. Sono stato sin'ora bersaglio de' jettatori, e troppi, ahi, troppi lumi ho acquistato per poterne a mie spese parlare.
Vi basti questo per ora: si riduce a piccole riflessioni da me fatte alla sfuggita. Il plettro mio, che a balía della sorte lasciai appeso ad un pino, ripiglio in questo punto. Rauco tramanderà il suono: l'industre Aracne l'ha fregiato di tele: gl'impetuosi venti l'han ricoperto di polvere, ed il vorace tempo l'ha cariato sino al midollo. La mano che viene a temprarlo, o non fu mai destra, o mal'acconcia divenne. Qual dolcezza si può dunque sperare, qual armonia? Risolsi piú volte di non toccarlo giammai, ma pensando poi che fu mio una volta, son corso a svellerlo, ed a raffazzonarlo alla meglio. Voi che avete le orecchie a limati plettri avezze, compatite, vi prego, lo stridulo suono del medesimo.
| |
Aracne
|