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      Schiava, o misera, andrai.
     
      Andrai dove superbaEra de' figli un giorno,
      Or la patrizia acerbaHa l'esser madre a scorno;
      E disbrama il velenoNe l'ignudo tuo seno.
     
      Pur verrà un dì che treguaRechi agli afflitti; e al cielo
      Tu, quando il Sol dilegua,
      Fida lo spirto anelo;
      Pareggia il sajo agli ostriLa pace erma dei chiostri.
     
      Dove il rapito, doveL'acceso estro mi porta?
      Lontan lontano muoveDe' cavalier' la scòrta:
      O dolci castellane,
      Qui a pianger si rimane.
     
      Nè a pianger solo: ha iniqueTrame il castello e ingorde:
      Guai se per mire obliqueUn traditor vi morde!
      Già tratta Elsa vegg'ioAl Giudizio di Dio.
     
      Ma forse ad altro è nataAzma, che d'altro sangue
      Ai Soli di Granata
      Si discolora e langue,
      Seguendo col sospiroIl suo lontano Emiro?
     
      Forse Gemmilla è reaPerchè toccato ha in sorte
      Culla e sembianza ebrea?
      Eppur sacrata a morteTragge innocente il piede
      A le voraci tede.
     
      Così l'età remoteMesto passeggia e fiero,
      Alto per l'ombre noteIl vigile pensiero;
      Ma, guati pur da presso,
      È il dramma ancor l'istesso.
     
      Fremono i nembi: chiusaNe le dorate sale
      Cinge un'altra Crëusa
      Il serto suo fatale:
      E tutto intanto aduggeIl popolo che rugge.
     
      Cade Versaglia; e quandoImperversa Lutezia,
      Le notti obblìa danzandoL'improvvida Venezia:
      Ahi, Gentildonne care,
      Che mattinate amare!
     
      Dell'Adria la reginaSomiglierà la carca
      Sbracciata montaninaChe a' secchi il dorso inarca;
      E guarda intorno ai Piombi
      Starnazzare i colombi.
     
      Pavide inermi zebePerò non fien le donne
      De la càlabra plebe:
      Già, succinte le gonne,
      Novo furor le incìtaA pôr vita per vita.
     
      Dicon che a l'Alpe in seno,


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L'odissea della donna
di Tullo Massarani
Editore Forzani Roma
1907 pagine 356

   





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