L'innamorata fantasia si perde.
Ma quale ha voce l'intelletto umanoS'anco la più soave o la più forte,
Che un suono, un eco, un sovvenir lontanoDi Natura non sia?
Non è quest'Arte nostra altro che specchioOve passa un'ombrìa,
Ricetto ove susurra un lieve fiatoDel dramma eterno che ne invidia Morte.
Usignolo che piagna al bosco e al pratoDei carmi è 'l più soave a casto orecchio;
È il verde appena natoMiracolo maggior d'ogni leggenda:
Onde avvien che ci prendaTedio dei libri, e più rida a l'ingegno
Un fantastico regno ove riposi.
O genïali amici, o venturosi,
Che il mare ampio corresteE quanto è sotto i cieli a veder degno,
Quest'è quest'è la fiamma che v'investe;
Questo il vago desìoOnde l'Imperio al vincitor d'Arbella
Vo col pensiero invidïando anch'io:
Onde anch'io cerco quellaAd ogni gente antelucana stella,
De l'arte e del pensiero altrice eterna,
A Voi sì nota e cara India materna.
Ma non gli atrii gemmati e le pagodeQuasi vette montane al ciel sorgenti,
Nè i sacri stagni, che cinge infinitaDi storïati marmi unica lode,
Non le magiche prodeChe le moli d'Ag'mir specchian superne,
Non cerco io già le triplici caverneOve al Sole rapita
Tanta virtù d'intrepido scalpelloDal duro sasso a le devote genti
Un popolo sbalzò d'altri viventi:
Te invoco, o divin Nume, o Trivia Gange,
Te fausta, te dal cielo immacolataScesa a lavar la prima stirpe umana,
Eterëa fiumana,
Quando del contemplarti era beataDei Devi la invincibile falange,
Menavan danze le Apsaràse, e al belloNovissimo portento
Plaudendo il Genitor de l'Universo,
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