Seguìa de l'acque il fil limpido e terso.
Era queto di vento,
Sgombro il cielo di nubi; e d'alma luceLo vestivan gli Dei, fendendo l'aria,
Corruscando ne l'armi. E tu scendevi,
Qual se da cento Soli irradïata,
Scendevi o Dea. Te duce,
In cento forme varia,
Or lenta, or tortuösa, or concitataE crestata di spume,
Vinceva di baglior l'istesse neviL'abbondanza de l'acque; e un ciel parea
Che il cigno candidissima e l'ardeaSolchin d'autunno con l'aeree piume.
Tal m'apparisti a la commossa idea:
Tal, gran mercè di questi miei dolenti,
Sognati assai, più che vissuti giorni,
Da quest'erma ove seggoStanza muta a' venturi ed a' presenti,
Te gangetica sponda ancor riveggo.
Ben la ravviso, è questaLa remota dai cólti alma foresta,
Ove re Dusïanto
Cacciando la gazzella,
D'altra preda gentil, troppo più bella,
Si libò il fiore, e poi lasciolla in pianto.
Ben ravviso gli eccelsi e in vetta adorniDi fragranti corimbi arbori sacri,
Che, squassando la chioma, i pii lavacri
(Se mai scenda e soggiorniCostì alcun de' celesti),
Fanno di trine d'òr crespi e contesti;
E, più mirande, lor nodose braccia,
Come Brahma le cacciaCon quell'amor che piovono le stelle
Propagginare e far selve novelle:
Veggo i cedri, le muse, e i biondi alanghi,
Le ombrifere cadambe ed i soaviSàntali ardenti e i profumati manghi,
E quel di vita largitor diospìro,
In amplissimo giroDa repenti lïane insiem conserti
Un corpo far d'innumeri lacerti,
Un vivo tempio agl'immortali Savi.
Còsti e ninfee col fior sacro del lotoSmaltano l'acque, ove trionfa a nuoto
L'anatrina giuliva;
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Dea Dusïanto Brahma Savi
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