Figliuol di re, precedere doveaDe l'aste in fra i baleni
Quel deserto fanciullo il re guerriero,
Il duce, il padre, e fieroLudibrio a la crudel Roma vittrice,
Crescer del proprio scempio i suoi tormenti.
Son dugent'anni, eppur di quegli effreniDì la memoria dura
Cocente, imperitura.
Tornò da quella, e ad altra onta sacrato,
S'addisse al tornio, umile schiavo, il figlioDi tanto re: ma il Fato
Volse pietoso per la sua progenie:
Che d'insolite venie,
Pur de l'aspro censor sotto il cipiglio,
Crebbe argomento, e a le patrizie caseDe la gente Vulcea sacra rimase.
Te di que' regi uscita, o Delia, appenaVolge il quindecim'anno,
Che nel servil capannoSorgeva a salutar l'alba serena:
La madre no, ch'è del tuo nascer morta,
Ma conoscesti quelloChe rade volte, o mai, schiava conforta,
Dolce affetto paterno: e amico ostelloA la tua cuna e al padre
Porse la casa signoril, che insiemeVisitava Lucìna
Il dì che sciolse al tuo destin la prua.
Quivi a cure leggiadreTi crebbe a fianco de la sua bambina
Arria sagace; e il prezïoso semeDe le lettere greche insiem suggendo
Con Domitilla suaDa quel ch'era a te padre, a lei maestro,
Parve che l'idïoma e il vivid'estroE il core in uno, sotto i blandi auspici
Educaste feliciDe le Grazie natìe,
Inconscie del tremendoGiure che i servi da gl'ingenui parte:
Parve che accese, per le olimpie vie,
Immemori del truce iniquo Marte,
Ambo, la fronte lieta,
Saliste insieme ad un'istessa mèta.
O magnanimo amor del patrio lido!
Qual è a' raminghi età ventura, e quale
È mai piaggia ospitale,
Che il tuo non oda irresistibil grido!
| |
Roma Fato Vulcea Delia Lucìna Domitilla Marte
|